Il falso mito dei 10/10

Nel lontano 1862 un oftalmologo olandese, il dott. Snellen, fece realizzare e diffondere una tabella per la valutazione dell'acutezza visiva. La tabella, chiamiamola OTTOTIPO, contiene lettere di diversa grandezza da porre ad una distanza precisa e da mostrare al soggetto. In base alle lettere che riesce ad identificare, si determina la sua acutezza visiva. L'ottotipo di Snellen ebbe enorme successo e soprattutto contribuì a creare uno standard, poichè il risultato dell'esame veniva rappresentato sotto forma di frazione, un rapporto fra quanto vedeva il soggetto e quanto dovrebbe vedere un occhio fisiologicamente sano.
Peccato che la tabella è sbagliata.
Snellen voleva che la lettera più piccola leggibile corrispondesse ad un limite teorico, una specie di occhio perfetto. L'oftalmologo si basò su valori esatti, ma interpretati male. Secondo i valori corretti rappresentati con il rapporto di snellen, l'acuità visiva teorica massima è circa 20/10, con un valore fisiologico (cioè da considerare "normale") che oscilla fra i 12/10 e i 16/10. Tuttavia la tabella si diffuse rapidamente e fu utilizzata per moltissimi anni (in qualche studio addirittura se ne vedono ancora) prima di venire sostituito da altri ottotipi più moderni. Ma il mito dei 10/10 è rimasto, insieme alla convinzione che vedere 11/10 sia "vedere troppo". Attualmente, i professionisti considerano i 10/10 come un limite minimo, a volte sufficiente a volte no. Inoltre anche molti requisiti di vista presenti nei bandi di concorso o richiesti per altri motivi (pensiamo alla patente, ad esempio) fanno ancora riferimento al limite dei 10/10. Non solo il valore è imperfetto ma anche il sistema: chiediamoci ad esempio quanto le condizioni di luce influiscano sulla leggibilità, quanto una persona poco alfabetizzata riesca a riconoscere una determinata lettera (vi assicuro che nel 2020 è ancora possibile trovare soggetti che fanno confusione fra H e K e fra J e Y), quanto sia importante vedere bene delle lettere nere su sfondo bianco quando nella realtà non capita mai di trovarci in questa situazione. Ma questi sono argomenti  per un altro articolo.

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Perchè ci sbagliamo sui colori

Il vestito che a volte sembra blu, la scarpa che sembra verde ma non sempre... la percezione dei colori è un argomento affascinante e complesso. Proprio per questo è difficile spiegare certi fenomeni senza andare sul tecnico. Ci dedicherò diversi articoli, però possiamo cominciare da una cosa che mina alle basi i meccanismi della visione dei colori, aprendo nuove prospettive.
E' credenza comune che nel nostro occhio ci siano recettori (i coni) che rispondano a stimolazioni di colore rosso, verde e blu e che mescolando tali stimoli si ottenga il colore giusto.
Funziona probabilmente sul vostro smartphone, ma nell'occhio non funziona così.
La teoria tricromatica della visione, sviluppata nell'800 da Thomas Young e poi formalizzata da Hermann Von Helmoltz, non riesce a spiegare determianti fenomeni visivi e non coincide con la presenza e la funzione di certe strutture anatomiche. Il problema non è nella presenza e funzione dei coni, ma di come i segnali elettrici vengono interpretati. Possiamo grossolanamente dire che all'elaborazione tricromatica si aggiunge un meccanismo di confronto duale di alcuni colori specifici, di valori relativi di luminosità e di contrasto. I segnali arrivano al cervello già parzialmente elaborati ma soprattutto mescolati e svolge elaborazioni confrontando, correggendo, addirittura immaginando. Il sistema funziona benissimo, ma qualche volta si possono creare delle condizioni limite in cui deve fare una scelta, e non sempre è la stessa. Non c'è da meravigliarsi dunque se non tutti in determinate condizioni vedono lo stesso colore perchè i nostri cervelli sono diversi ed elaborano in maniera diversa. Per rendere il concetto un pò più comprensibile faccio sempre un esempio: se devo sollevare un oggetto e lo prendo, la prima cosa che fa il cervello è capire se è pesante o leggero PER ME. Non se pesa 4,7kg o 11,5 kg. Il peso preciso non ha importanza, è relativo. Potrei essere stanco, potrei essere super allenato. E se l'oggetto è un lingotto che sembra di piombo ma in realtà è di cartone, tenterò di sollevarlo usando una forza spropositata, perchè sembra pesante ma non lo è. Non c'è da meravigliarsi. Semmai, meravigliamoci di quanti milioni di cose elaboriamo ogni singolo istante della nostra vita,

Il prossimo articolo sarà il più bello

Gli argomenti sono tanti e il tempo poco, a presto!